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sabato 7 dicembre 2013

La fiducia in se stessi


Oggi Assunta mi raccontava della sua esperienza automobilistica. Assunta e’ una ragazza un po’ tozzetta, non proprio ben fatta ecco, una donna alla quale Madre Natura aveva garantito per il resto della vita un fisico abruzzese: fianchi larghi, seni piatti e viso squadrato, capelli neri lisci e dritti come spaghi. Insomma, non proprio una tipetta attraente, e a dir tutta la verita’ neanche tanto simpatica, un po’ omologata, ama il rosa e ha degli occhialetti piccoli piccoli che uuuf. Ma comunque, mi stava dicendo della sua esperienza automobilistica.
“L’esaminatore mi ha fatto fare di tutto, siccome era notte non mi ha portato sull’autostrada perche’ c’era poco tempo, ti dico, sono arrivata alle sei l’esame era alle sei e mezza, e poi c’erano altri dietro di me, e quindi, mi ha fatto fare tutte le stradine pero’! Le curve difficiliii, a San Cosmo e’ pieno di questa roba, dove vivo io. Eeeh… poi mi ha fatto fare gli stop, il parcheggio, il traffico sulla Tiburtina un casino non ti dico, e poi vabbe’, la partenza in salita… che poi la partenza in salita secondo me mi ha aiutato. Perche’ io stavo la’ e premevo premevo il piede sull’acceleratore ma mica andava, e mi stavo a impanica’ coi freni… secondo me ha accelerato lui, mica ce la facevo."
“Guarda Martina che non ce l’ha il pedale dell’acceleratore, l’esaminatore.” Mi guarda stupita, uno sguardo tra l’incredulo e l’euforico, con qualche accenno di vuoto. “Ce l’hai fatta da sola!”
“Ahh.”
“Brava!”
“Grazie! Eh. Eheh.”

lunedì 25 novembre 2013

Oggettivare

Aveva conosciuto una ragazza. La chiameremo Giulietta. Giulietta aveva i capelli lisci e mori e gli occhi marroni, e aveva dei piccoli brufoletti sulle guance. Sorrideva furba e aveva delle opinioni. Aveva opinioni su tutto: dal rossetto rosso alle scarpe laccate, alle scarpe di pelle ai candidati alle primarie del principale partito politico di centrosinistra. Amava leggere, scrivere e far di conto. Ascoltare musica, metal britannico e indie rock italiano. Era alta piu’ o meno sul metro e sessantacinque, con poco seno ma con un gran cappotto rosso a coprirlo. Le piacevano i maglioni e le sciarpe, e aveva fatto danza classica. All’Accademia Nazionale. Solo che poi aveva mollato, voleva fare la politica e studiare sociologia. Era una ragazza attiva. Sperava che fosse anche curiosa. Era piu’ piccola di lui, di un anno, ma le distanze non erano insopportabili. O rilevanti. Adesso la stava oggettivando, scrivendone. Serve a questo, scriverne: fissare le persone e i ricordi nel tempo, esorcizzandoli, sacralizzandoli, alienandoli, forse perdendoli. Ma lui non voleva abbandonarsi alla sua propria dimensione tragica, in quanto non ce n’era alcun bisogno. “Chi pensa di perdere e’ sconfitto in partenza”, diceva Napoleone, non che gli fosse molto simpatico, Napoleone, pero’ certo era uno autorevole, tanto che non viene mica ricordato per le vittorie, ma per le poche volte in cui e’ stato sconfitto. Lui sperava tanto che lei fosse una persona curiosa, una di quelle che si mette in gioco, pero’ anche una ragazza che, in segreto, provasse a tendere al sublime, un sublime assolutamente terreno e sensista, ma aereo nella sua essenza. La conversazione per l’uscita per l’indomani a causa della quale si sentiva ansioso e quindi bisognoso di scrivere era avvenuta nella maniera piu’ normale e indolore, quindi in una maniera a suo modo completamente nuova. Vogliamo vederci? Si, alle 16. Alla stazione? Si. Ti piace leggere? Adoro leggere. Quindi si andava in libreria, a sentire gli scaffali respirare, poi chissa’, un caffe’, un negozio di dischi. Avrebbe dovuto regalarle qualcosa? Presentarsi con un regalo sarebbe senz’altro stato eccessivo. Pero’, se le piaceva qualcosa, non si sarebbe risparmiato a comprarlo. Il potere monetario stranamente non gli mancava, gestiva bene la sua neoacquisita ricchezza, sperperandola poco alla volta. Desiderava non svegliarsi male il giorno dell’incontro. Se si fosse svegliato male, tutta la giornata avrebbe rischiato di finire in una sordina di confusione, compreso un compito di filosofia che non poteva fallire. “Cos’e’ la felicita’?”; questo il tema. E lui lo sapeva cos’era, la felicita’: lei.

lunedì 18 novembre 2013

Non per fare il guastafeste

Non per fare il guastafeste, pero' oggi mi veniva da pensare che in realta', in quella vera, di realta', ci sono un sacco di ingiustizie in giro. Pero' non come le nostre, di ingiustizie, che per quanto grandi sono ancora concepibili, ma striscianti, brutte brutte: tipo che i bambini in certe parti del mondo fanno palloni da calcio, hanno messo su famiglia, forse, facendo palloni da calcio, e sono schiavi di padroni terribili, che li tengono incatenati al posto di lavoro, e le donne ai telai a fare i tappeti, e quando entra il padrone devono lavorare piu' veloce e coprirsi il viso.
E in certi paesi un gruppo molto ristretto di persone utilizza scudi ideologici per imporre il proprio dominio sulla popolazione, per poi utilizzare il potere cosi' ottenuto per i lussi piu' sfrenati, educando il popolo che governano a stare zitto e buono.
E ci son dei posti dove pestano i semi delle banane con i piedi dei bambini di sette anni, mescolandoli ai pesticidi, rischiando ogni giorno delle infezioni, e i loro genitori sono stati uccisi, oppure li hanno abbandonati.

Mi viene da pensare che noi, che ci lamentiamo tanto delle nostre ingiustizie, non sappiamo di cosa parliamo. Perche' l'Occidente tollera, quindi incoraggia, tali comportamenti, e finche' le cose stanno cosi' non possiamo proprio pensare di uscire dalla "crisi".

venerdì 1 novembre 2013

In memoria

La morte ti destabilizza. L’attimo preciso in cui ci si rende conto che esiste un’altra dimensione, un’altro posto completamente ignoto a quel che conosciamo e completamente invalicabile dalla dimensione umana, allora si ha paura. I nostri valori chimici si alterano, si inizia a diventare ansiosi e frenetici, aggressivi e depressivi, i nostri difetti si amplificano quasi come se ci fosse una reazione distruttiva, un’unica possibile reazione alla morte. La morte rappresenta la distruzione suprema. L’annichilimento dell’essere, la fine di ogni cosa pensata e di ogni azione, la staticita’ finale, lo stato in cui tra 10 alla 100 miliardi di anni l’universo verra’ a trovarsi dopo che anche i buchi neri si saranno dissolti. Il tutto, ridotto alla mia povera piccola dimensione borghese, si riduce ad una sensazione borghese di nausea per un’occasione di morte altrettanto borghese: un gatto. Il giorno di Ognissanti, 1 novembre, antecedente al giorno dei Morti, successivo ad Halloween, il mio gattino rosso di due mesi, Romeo, e’ stato ridotto ad un ammasso di budella e interiora dal corpo contundente di un copertone di gomma rotante a velocita’ tra i 20 e i 40 km orari, i suoi ultimi secondi sono probabilmente stati gli ignari secondi di paura istintuale che precedono qualcosa che ti viene contro, o forse sono stati quelli di chi sta semplicemente guardando un albero e non fa neanche a tempo ad accorgersi del rumore del motore e della luce dei fari accecante e di questi pneumatici, rrr rrr rrr, che vengono verso di te. E poi, piu’ il nulla. La macchina si sara’ allontanata nel giro di pochi secondi, non notando, oppure, forse in una situazione ancora peggiore, il padre di famiglia avra’ sussultato e la madre di famiglia avra’ esclamato un poverino! gettato al vento, o forse entrambi erano troppo impegnati a scherzare con la nonna, sul sedile posteriore, che parlava dei vecchi denti d’oro dello zio, di ritorno dal cimitero. Diventiamo storia, ed e’ triste e incredibile quel che diventiamo; diventiamo un canto uscito dalle bocche dei cari, ma in realta’ non diventiamo, ma semplicemente svaniamo nelle parole, ripetute e poi ancora ripetute, della gente.
Romeo e’ morto di curiosita’. Le prime parole che sono riusciti a pronunciare i miei genitori era che non aveva nessun motivo di allontanarsi: aveva il cibo, aveva acqua, aveva un giardino, un garage e una cuccetta di cartone. Eppure, Romeo forse sentiva la puzza della morte ancora piu’ di quanto noi la sentiamo, alienati come siamo in queste vite giornaliere. Esce, e cerca, scruta i dintorni spinto da una forza che lo esalta e lo trascende; rischia, e perde. Eppure, forse era piu’ serio di tutti noi, questo cucciolo. Ho sempre l’idea che non esista un momento in cui noi non siamo in fondo al cuore coscienti della morte, pero’ rimaniamo sordi e ci chiudiamo in noi stessi, invece di cercare nuovi orizzonti ai quali sfuggirle. Entrambe le scelte sono superflue, ma una sola ha coraggio. E quindi, forse, Romeo ha fatto bene a morire.